Dal 2018 gli studi di settore, in base alle disposizioni previste nel decreto che contiene la manovra correttiva attualmente in via di approvazione in Parlamento, saranno sostituiti dagli indicatori di affidabilità fiscale. Questo cambiamento potrà sicuramente rappresentare una svolta, soprattutto per le Pmi e i lavoratori autonomi come ricorda Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre: “Per molti sarà la fine di un incubo, anche se sarà necessario monitorare questo periodo di transizione con grande attenzione. I nuovi indicatori di affidabilità fiscale che sostituiranno gli studi di settore dovranno garantire una riduzione delle tasse e una maggiore semplificazione nei rapporti con il fisco. Altrimenti, questa novità servirà a poco. Per questo è determinante che nella fase di gestazione di questi indicatori siano coinvolte le associazioni di categoria dei lavoratori autonomi, che meglio di chiunque altro conoscono le specificità e le caratteristiche fiscali di queste attività imprenditoriali” Va precisato che la maggior parte dei contribuenti, oltre il 73% su 2,6 milioni di attività, si è dimostrato congruo cioè rispettoso delle richieste avanzate dall’Amministrazione finanziaria in materia di ricavi. Le analisi condotte prendono in esame 3,5 milioni di partite Iva sottoposte ai 193 studi di settore attivati nel ventennio dalla loro nascita.
“Chi nel prossimo futuro rispetterà le disposizioni previste dagli indici di affidabilità fiscale non dovrà più essere sottoposto ad alcuna attività accertativa, dichiara il segretario della Cgia Renato Mason, inoltre, bisognerà limitare al massimo il numero di controversie per togliere quell’ansia da fisco che, purtroppo, continua a investire molti piccoli imprenditori.
Per questo sarà necessario introdurre un regime premiale a beneficio di coloro che sono in regola con le richieste dell’Amministrazione, così come era stato annunciato verso la seconda metà degli anni ’90 in sede di presentazione degli studi di settore che, in seguito, è stato clamorosamente disatteso”.
Secondo una stima elaborata dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, ammonterebbero a 19,6 miliardi di euro le tasse in più versate all’erario a fronte di 49,2 miliardi di euro di maggiori ricavi ottenuti attraverso l’adeguamento spontaneo in sede di dichiarazione dei redditi. “Certo, conclude Zabeo, è difficile stabilire quanti di questi soldi siano il frutto di una graduale emersione della base imponibile e quanti, invece, siano riconducibili a tasse aggiuntive che i contribuenti hanno pagato perché l’asticella dei ricavi imposta dagli studi di settore era troppo elevata. Molto probabilmente la verità sta nel mezzo. Per questo è necessario che i nuovi indicatori di affidabilità non ricalchino queste vecchie abitudini”.